E ogni cosa, ogni cosa cominciò a volare quel giorno, presa da un vento fortissimo, raffiche di vento caldo e morbido, che portavano via ogni cosa: gonne, capelli e cappelli, ombrelli, bambini piccoli, tutti venivano catapultati in aria dal vento.
Ma il bello di quel giorno lì è che tutti ridevano.
Nessuno si preoccupava.
Le donne non si curavano di tirarsi giù le gonne, o di recuperare i bambini presi nei vortici, o di acciuffare gli ombrelli che scuffiavano.
Tutti erano presi da un’allegria, ma proprio un’allegria incontenibile.
E in mezzo a quel pasticcio di vestiti colorati, tutti si divertivano di quella giostra inaspettata e mai vista prima.
Una mamma prese al volo un bambino per mano, ma si accorse che non era il suo, che il suo era rimasto attaccato a un lampione e giocava con le lampadine.
Un signore che aveva perso l’ombrello si coprì la testa con il ciuffo ribelle di un platano che gli fluttuava proprio accanto.
Il lecca lecca di una bambina con le treccine prese dal vento si appiccicò al naso di un vigile urbano che aveva perso il blocchetto delle multe e inseguiva svolazzando un motorino per fischiargli una contravvenzione.
Che giornata fu quella per tutta la città.
Quando la sera il vento calò, tutti tornarono a terra, e nessuno si fece male.
Che divertimento quel giorno.
I giornali del giorno dopo ne avevano riportato la notizia, ma in un modo davvero curioso, le pagine appena stampate volarono via dalle mani dei lettori.
Giochiamo a poker!
Come a poker – rispondo io, cui la parola poker fa venire in mente solo le ginocchia di mio padre e un tavolo rivestito di verde, e poi qualche serata affogata nel fumo delle sigarette e nelle vane chiacchiere delle donne che, sedute su divani poco distanti dal tavolo da gioco, aspettavano di tornare a casa.
Si dai giochiamo, siamo giusto in quattro!
Giusto, siamo in quattro, quindi non posso tirarmi indietro se non voglio rovinare la festa a tutti.
E allora, dopo un’esaustiva spiegazione dei punti e delle carte e del curioso linguaggio adoperato in tale circostanza della vita, cominciamo.
Mi vengono messi davanti una bella serie di pezzetti di plastica colorati, con cui da piccola giocavo a pulce, quelli che sono sicura di adoperare di più sono i tondini rossi, quelli che valgono 10 centesimi ognuno; ne abbiamo poi da 50 centesimi e da 1 euro (un intero euro! Roba da giocatori incalliti e avvoltolati nel vizio fino alle orecchie!).
Frunc (è il rumore delle carte quando sono mischiate) frunc, frunc.
Sguish (sarebbe il rumore che le carte fanno quando sono distribuite, ma in realtà il tavolo è un po’ felpato, quindi niente sguish), e io mi ritrovo con cinque carte in mano che mi dicono piuttosto poco.
Ma, impavida ragazza, io tento!
Chi può “aprire”? (io direi di no, nel dubbio aspetto per vedere cosa succede, cosa fanno gli altri, come al ristorante quando si è in dubbio su quale posata prendere).
Qualcuno, infatti “apre” e via, si va.
Ma, è tutto qui?
Allora è facile, il difficile è non perdere tutti i soldi in un colpo solo!
E allora io, insisto!
Data la mia nota attitudine a fare le facce, a Ros. seduta di fronte a me, basta guardarmi, dopo una mano dice: “a Bart è arrivata prima una coppia abbastanza buona, per cui ha sorriso, quando ha cambiato le carte, non le è venuto quello che sperava, per cui ha storto la bocca”.
Tragicamente vero.
Sento che la mia carriera di giocatrice avrà una breve durata.
Si riparte, ci sono quelli che aprono (ricordiamoci di chiudere, magari l’acqua e il gas, alla Troisi) e poi fanno strani versi, io sono di turno dopo D. che dice “cip” mi viene da dire “ciop” lo so è scontato, ma non mi so trattenere. Quando dicono parola, mi ammutolisco.
Perdo già due poste, quando, ormai abbandonata ogni speranza vinco un paio di mani!
Incredibile. Scopro pertanto che giocare è divertente.
Alla fine dei conti, ammucchiando le mie pulci e scopro, non solo di avere ripianato le perdite, ma addirittura di essere in attivo di 5 euro!
Ammazza, che giocatrice palluta che sono!
Quando giochiamo di nuovo, non volete la rivincita?
A M. e R. per il buon tempo trascorso insieme.
Stasera il Palio di Siena.
L’ha vinto Trecciolino, per la contrada dell’Istrice.
Fin da piccola il Palio mi ha affascinato.
Gli sbandieratori, i fantini con le giubbe colorate, i cavalli senza sella a mostrare il pelo bruno e lucido, la piazza rotonda con tutta quella gente stipata al centro.
La cosa più bella poi, sono sempre stati i soprannomi dei fantini: Aceto, Tripolino, Rompighiaccio, Pietrino, Tristezza (dico: Tristezza!!)
E’ una buffa follia, è vero, ma quanto è bello.
Quando ero piccola la telecronaca la faceva un giornalista molto composto ed educato, un giornalista d’altri tempi, uno che non urlava come se fosse scoppiata la guerra dei mondi solo per annunciare il caldo torrido che fa a ferragosto. Paolo Frajese era il suo nome e lui era un vero esperto di Palio.
Passava ore flemmatiche a riempire un tempo interminabile, con la sua voce pacata, a spiegare motivazioni e strategie di cose che a vederle così, da profani, sembravano assurde.
Il tempo, allora come oggi, in realtà, passa nell’attesa che il cavallo di rincorsa, designato a sorte, entri tra i canapi e con il suo ingresso dia il via alla gara, che di per se stessa è molto breve. Tutto il lungo pomeriggio così, trascorre nell’attesa di un breve momento.
Il bravo commentatore conosceva gli aspetti più reconditi delle amicizie e delle inimicizie tra le contrade, e con i suoi racconti rendeva comprensibile le attese, le tattiche, le strategie.
Ma la cosa più buffa e più ricorrente di tutte era che, dopo un pomeriggio di attesa, dopo un collegamento infinito, dopo tutte le chiacchiere possibili e immaginabili, arrivati alla disposizione tra i canapi, il cavallo di rincorsa tardasse ad entrare, nell’attesa di un momento favorevole. Che l’attesa durasse minuti e poi minuti ancora, a ridosso del collegamento col telegiornale, che si faceva sempre più incalzante tanto che, alla fine, il bravo presentatore era costretto a cedere la linea e nessuno degli ansiosi o distratti telespettatori, riusciva a vedere un cavolo di niente: la corsa veniva sintetizzata dal tg. Collegamento fuori tempo massimo.
Ah, il Palio di Siena, che follia!
Un unicorno blu.
E’ passato davanti alla mia finestra.
Mi ha guardato.
Ci siamo guardati.
Mi ha riconosciuto.
Ci siamo riconosciuti.
Adesso è con me, che vola sopra la mia testa, ogni minuto.
Mi chiedo ancora come sia potuto succedere.
Si sa, gli unicorni sono animali timidi e un poco diffidenti.
Io, di mio, sono un po’ scontrosa, anche se cerco di non darlo a vedere.
Quindi, non si sa bene questo prodigio come sia stato possibile.
Tuttavia…
E non ti svegliavi neanche quando io decidevo di venirti a dormire addosso.